Notule

 

 

(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIX – 30 aprile 2022.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]

 

Una possibilità terapeutica per la schizofrenia agendo sulle proteine BET. La complessità del rischio genetico di schizofrenia è in parte dovuta alle interazioni di centinaia di varianti di rischio. Fattori epigenetici quali le PTM (post-translational modifications) svolgono ruoli critici in molti disturbi neuroevolutivi. Lorna A. Farrelly, con numerosi colleghi diretti da Ian Maze e prevalentemente provenienti dal Mount Sinai di New York, ha dimostrato che la proteina BET BRD4 è una lettrice “bona fide” dell’acetilazione di H2A.Z e che l’inibizione della famiglia di proteine BET migliora le anomalie trascrizionali nei neuroni derivati da pazienti schizofrenici. Così, trattamenti finalizzati a ridurre le interazioni delle proteine BET con gli istoni iper-acetilati, possono contribuire alla prevenzione e alla riduzione delle manifestazioni cliniche della psicosi schizofrenica. [Nature Communication - AOP doi: 10.1038/s41467-022-29922-0, 2022].

 

Il microbioma intestinale può svelare le peculiarità degli Ispanici nella salute mentale. I progressi degli anni recenti nella conoscenza dell’asse cervello-intestino stanno chiarendo molti aspetti della modulazione di condizioni di disagio e sofferenza psichica legati all’ansia e alla depressione. La maggiore incidenza di questi disturbi nella popolazione di origine ispanica degli Stati Uniti è stata analizzata da Fernando Vera-Urbina e colleghi che, in una rassegna di studi sull’influenza del microbioma intestinale sul sistema nervoso centrale per lo sviluppo di disturbi d’ansia e depressivi, denunciano la mancanza di specifiche indagini sulla popolazione americana di etnia ispanica. [Microorganisms - AOP doi: 10.3390/microorganisms.10040763, 2022].

 

Modelli di apprendimento della minaccia rivelano rapporti con ansia e sostrato neuroanatomico. Rany Abend e colleghi hanno usato modelli computazionali, neuroimaging e dati di conduttanza cutanea per studiare in un campione di 251 persone (116 donne) i rapporti tra il grado d’ansia e i seguenti processi: condizionamento della minaccia, generalizzazione della minaccia, apprendimento dell’essere al sicuro ed estinzione della minaccia. I risultati indicano che più è elevato il grado di ansia più lento è l’apprendimento dell’essere al sicuro e più lenta è anche l’estinzione della risposta a stimoli non minacciosi. Il volume della materia grigia del nucleo accumbens era correlato alle associazioni apprendimento-ansia. L’approccio mediante modelli ha fornito precisi rapporti tra grado dell’ansia, apprendimento della minaccia (paura) e sostrato anatomico. [Elife – Ap 27; 11:e66169 - AOP doi: 10.7554/eLife.66169, 2022].

 

Pandemia: è mancata una campagna di informazione sociale ed educazione scolastica. La comunicazione mediatica impostata sempre sulla falsariga politica delle “opinioni a dibattito” ha lasciato negli Italiani ancora molte idee confuse e la tendenza a rispettare solo le misure imposte, senza averne compreso realmente il senso e l’utilità. Si continuano a pubblicare articoli giornalistici in cui si dice che il vaccino “non è uno scudo impenetrabile”, invece di informare come fanno le fonti scientifiche sul fatto che i vaccini attuali non proteggono dal contagio delle maggiori varianti circolanti e si ritiene che l’immunità conferita dal vaccino possa solo contribuire alla difesa dell’organismo quando si è contratta la malattia. Si sta continuando a diffondere l’idea erronea che il vaccinato sia protetto dal contagio delle varianti di SARS-Co-V2, contro il semplice buon senso che vede di quante volte sono più numerosi i contagi giornalieri ora che siamo quasi tutti vaccinati rispetto a quando non c’erano ancora i vaccini, ma si osservavano misure più rigorose e prudenti.

Oltre alle condizioni in cui vi sono state responsabilità istituzionali (scuole, trasporti pubblici, ecc.), si notano comportamenti personali quotidiani che favoriscono la diffusione del contagio in tutto il territorio nazionale. Mercoledì i nuovi contagi sono stati 87.940 con 186 morti (146 martedì) con tasso di positività di 15,9%. In Lombardia 13.110 nuovi positivi, in Veneto 9.666, in Toscana 5.653 con età media di 45 anni e 13 decessi, nel Lazio 8.692, 8.030 in Puglia, che nei primi due anni di pandemia aveva sempre numeri bassi, in Campania 10.785.

La variante Xj di Omicron, che si ritiene equivalente alla Xe già presente a marzo in Gran Bretagna, è ormai ampiamente diffusa e il suo tasso di contagiosità si stima del 10% superiore a quello della contagiosissima variante BA.2, di cui abbiamo già parlato. [BM&L-Italia, aprile 2022].

 

Gli elementi di civiltà che danno forma ai sentimenti influiscono sulla psicologia. Questo argomento è stato affrontato e discusso al Seminario sull’Arte del Vivere di venerdì 29 aprile. L’apprendimento e la pratica del rispetto dell’altro, quale espressione di civiltà trasmessa con la buona educazione, costituiva in passato una struttura implicita della coscienza individuale in grado di plasmare una parte non trascurabile dello sviluppo dei sentimenti e dei modi della comunicazione. Da un secolo a questa parte si è combattuto lo stile rispettoso con la scusa di voler superare i formalismi, ma di fatto si è favorita la regressione a forme rozze e poco civili di interazione, che favoriscono un atteggiamento mentale meno consapevole, meno responsabile e poco meditato, oltre a rendere meno agevole la regolazione della giusta distanza psicologica al primo approccio con gli sconosciuti. [BM&L-Italia, aprile 2022].

 

Il credo religioso, che ha profondamente inciso sulla psicologia dei soggetti storici incide anche sulla psicologia individuale. I problemi di coscienza, che costellano come esempi concreti la filosofia e il diritto dell’Europa cristiana, hanno lasciato una traccia indelebile nella letteratura e, particolarmente, nella narrativa degli ultimi due secoli. La sofferenza psicologica che nasce dal tormento interiore, magistralmente descritta dai grandi narratori russi, ci riporta al vincolo della responsabilità dell’uomo verso Dio, quale fulcro e perno intorno a cui si sviluppano i processi intrapsichici di elaborazione della realtà e la vita di relazione dei singoli. Basti pensare alla psicologia del personaggio di Caterina Màslova detta Katiuscia, protagonista del capolavoro di Tolstoj Resurrezione, per comprendere come la coscienza morale cristiana sia stata per secoli il paradigma principale entro cui ciascuno concepiva sé stesso, leggeva le proprie sofferenze, dava senso alla propria esperienza quotidiana, disperando o nutrendo la speranza in funzione di una “vita oltre la vita” e di un giudizio ultraterreno spesso anticipato nei pensieri più intimi e nel più profondo sentire.

Il Dio Creatore presente nella mente di ciascuno, testimone di ogni segreto e di ogni pensiero, allocutore delle istanze tacite, come di preghiere e suppliche, condiziona tutto l’agire mentale, il modo di intendere sé stessi, il mondo, la vita; dà forma ai desideri, è motivo dei sensi di colpa, come della speranza di salvarsi e aiutare altri a salvare l’anima, è origine e causa come termine e fine di ogni essere e di tutto l’esistente. Secondo la riflessione condotta questa settimana al Seminario sull’Arte del Vivere, la presenza del Dio Creatore quale verità nella mente del soggetto anche oggi influenza profondamente la psicologia individuale. La tesi, bene argomentata attraverso il confronto tra casi clinici di credenti e non credenti con potenzialità neurobiologiche simili se non identiche ed esiti del tutto divergenti per effetto dell’elaborazione teistica o ateistica, è stata anche impiegata per comprendere la dimensione psicologica delle crisi esistenziali del Novecento e della realtà post-moderna.

Una stimolante esercitazione è stata proposta da Monica Lanfredini, che ha isolato e analizzato nei termini di una dicotomia l’atteggiamento di credenti ed atei: i primi danno conto a Dio, i secondi danno conto agli uomini. Con un’esposizione difficile da riassumere in poche righe ha proposto una serie di esemplificazioni concrete del modo di porsi di chi sente l’Altissimo presente in ogni molecola dell’universo come dentro di sé, confrontandolo con quello di chi crede che non esista null’altro che ciò che possiamo materialmente percepire ed è affidato alla relatività e alla temporaneità del sentire e conoscere di altri esseri umani. Si può così rendere schematicamente questa tesi:

Dar conto a Dio: contano la sostanza e la verità.

Dar conto agli uomini: contano l’apparenza e la comunicazione.

Lorenzo L. Borgia ha commentato: “La società attuale definita da molti sociologi dell’apparire e del comunicare invece che dell’essere e del pensare è la diretta conseguenza dell’ateismo di principio o di fatto delle coscienze”. Ma la questione più importante è che la psicologia accademica e la psicologia clinica, cui attingono gli psicologi che lavorano come psicoterapeuti, ignorano questo aspetto o ritengono di poterlo trascurare come se fosse un particolare insignificante.

Riprendendo una vecchia tesi filosofica, alcuni pensatori contemporanei ritengono che la psicologia umana nel rapporto col Dio giudaico-cristiano e nel rapporto con le divinità politeiste cambi solo per l’aspetto di un rifarsi ad un trascendente assoluto oppure ad un trascendente molteplice, che riflette la pluralità costitutiva del razionale-reale (in senso hegeliano) della vita materiale. Ma la questione di questa differenza, da noi già affrontata in precedenza, è stata ripresa questa settimana.

Così scriveva, in proposito, Lorenzo Borgia nelle “Notule” del 2 aprile:

“Forse è opportuno essere ancora più espliciti al riguardo: gli dei dell’antichità classica non hanno alcun rapporto con Dio.

La semplice distinzione tra monoteismo e politeismo può trarre in inganno, perché è in questione una concezione radicalmente differente del divino: YHWH non ha equivalenti nella storia umana e la sua comparsa nella tradizione del popolo ebraico rappresenta un evento unico per tutta l’umanità; Eterno, Creatore e Infinito, nell’esegesi rabbinica costituisce l’assoluto della speranza, mentre per il cristiano è il Padre celeste; al contrario, le divinità pagane sono idoli che nascono dall’idealizzazione di esseri umani considerati eccezionali e immortalati attraverso racconti mitici, ma, pur vivendo nella dimensione immaginaria e letteraria, sempre profondamente caratterizzati da difetti, passioni, contese, ambizioni, alleanze, vendette e meschinità tipicamente umane”[1].

Monica Lanfredini ha proposto come esempi dei commenti biografici sui dodici grandi dell’Olimpo, per ciascuno dei quali ha discusso aspetti rilevanti della creazione della figura simbolica idolatrata in termini di processo mentale, origine antropologica e funzione psicosociale nelle comunità di epoca classica. Riportiamo il solo esempio del dio della guerra Ares (Marte): gli studi sulle origini storiche dei miti che lo riguardano hanno agevolmente riconosciuto un uomo, poi assurto a fama divina.

Quando Ares era ancora un uomo guerriero, esisteva una dea della guerra di nome Enio, che lo accompagnava sul campo di battaglia e aiutava lui e i suoi due figli gemelli, Fobos, la paura, e Deimos, il terrore, a gettare nel panico i nemici e a incoraggiare, motivare, appassionare, incentivare e galvanizzare i soldati amici per renderli più coraggiosi, più valorosi, più efficienti e più determinati. Ares in vita, quando non era stato ancora idolatrato, aveva avuto una relazione con Aglauro, la figlia di Cecrope, e da questo rapporto era nata una bambina, Alcippa. La figlia del futuro dio della guerra crebbe diventando molto attraente, così che Alirrozio, considerato figlio del dio del mare Poseidone, se ne invaghì e cercò di sedurla, ma fu respinto e allora decise di prenderla con la forza, usandole violenza. L’aggressione di Alcippa avvenne sull’Acropoli di Atene, dove sopraggiunse Ares, che immediatamente uccise Alirrozio per dare piena soddisfazione alla figlia. L’omicidio compiuto da Ares fu denunciato, ma i giudici lo assolsero con motivazioni che, in epoche successive e in altri ordinamenti, sarebbero rientrate nella ratio del “delitto d’onore”.

Secondo le cronache, questi fatti sono accaduti durante il regno di Cranao.

Nella versione mitologica si legge che Poseidone si lamentò col consiglio degli dei dell’Olimpo per l’uccisione di uno dei suoi figli, e chiese che giudicassero Ares sul luogo stesso dell’omicidio, ossia sull’Acropoli: la sede del giudizio prese il nome di Areopago, ossia “Collina di Ares”[2], in ricordo della legittimazione della vendetta del dio della guerra da parte di tutti gli altri dei. È facile leggere in filigrana la solidarietà dei potenti col padre della vittima di uno stupro.

Ares nell’Iliade è dipinto come un soldato violento e fanfarone, per tenere insieme le cronache relative alle gesta dell’uomo con le versioni mitizzate create dai poeti. Pur essendo abile ed esperto delle tecniche marziali gli capitava, come accadeva a ogni mortale, di non avere sempre la meglio sul campo di battaglia, in duello e negli atti di guerriglia che compiva come azioni militari. Ad esempio, una volta fu sconfitto, incatenato e chiuso in una giara, dopodiché fu salvato dal provvidenziale intervento di un commilitone incursore. L’episodio fu così mitizzato: i Giganti Oto ed Efialte, gli Aloidi, con l’inganno lo avevano tratto in catene e imprigionato in una giara di bronzo; ma Eribea, la nutrice dei Giganti, aveva avvertito Ermes che, di volata, giunse a liberarlo.

Ares combatté nella guerra di Troia e qui fu ferito gravemente da Diomede: nel mito si narra dell’intervento di Atena che avrebbe consentito a Diomede di mettere fuori combattimento il dio della guerra. Le trame mitiche raccontano di un Ares che si sarebbe lamentato con Zeus per l’intervento di Atena e di un alterco con la dea, dal quale il dio della guerra sarebbe uscito malconcio, perché colpito da Atena alla testa con una pietra. Non gli andò meglio quando Cicno, suo figlio, sulla via per Delfi sfidò Ercole: Ares intervenne in aiuto del figlio brigante, ma Ercole uccise Cicno e ferì alla coscia Ares. Naturalmente nel mito si dice che Ercole ebbe l’aiuto di Atena.

In un racconto di Demodoco, nell’Odissea, si coglie bene il passaggio da una vicenda tutta umana a una costruzione mitica. Ecco cosa accade in realtà: Ares si invaghisce della bella e giovane moglie di un fabbro, tanto abile quanto brutto e deforme, la seduce e i due diventano amanti; il fabbro scopre la tresca e si vendica tendendo loro una trappola e mettendoli alla berlina al cospetto dell’aristocrazia. Nella versione mitica, il fabbro diventa Efesto (il dio Vulcano dei Romani) e la moglie diventa Afrodite (Venere), come leggiamo in questo resoconto:

Avvertito dal Sole, suo amico, ossia saputo quanto era di pubblico dominio – “sotto il sole” si diceva – che la sua sposa lo tradisce nel loro letto coniugale con Ares, Efesto si reca nella sua oscura fucina a forgiare catene impossibili da spezzare e elementi e strutture per una trappola di raffinata concezione. Alla base del talamo àncora le speciali catene, occultandole alla vista, e issa il marchingegno al di sopra del letto, agganciandolo in basso alle serie di anelli ferrei e fissando in alto e mimetizzando la sua parte superiore, costituita da una rete metallica tanto sottile quanto resistente al taglio, allo strappo e allo sfondamento. Il dispositivo è realizzato in modo che il peso dei due corpi sul piano del talamo nuziale faccia scattare la trappola, imprigionando i due amanti nella rete inviolabile.

Fingendosi ignaro e immerso in questioni personali, Efesto simula una partenza per l’isola di Lemno[3], in modo da rendere sicuri gli amanti di una sua prolungata assenza. Afrodite ed Ares si adagiano fiduciosi sul talamo, provocando la caduta di scatto della rete metallica che impedisce loro di muovere braccia e gambe, rendendoli subito consapevoli di non poter sfuggire[4].

Efesto esce dal nascondiglio e chiama a raccolta gli dei per esporre gli adulteri al pubblico ludibrio: si sprecano motti di spirito e scoppi di risa per la comica situazione dei due sorpresi e immobilizzati come pesci in una rete nel momento stesso in cui credevano di poter tranquillamente soddisfare la propria lussuria. Ma gli dei, oltre a deridere i traditori, ammirano e celebrano il lavoro di Efesto che, dal ruolo di ingannato e umiliato dal tradimento della moglie che gli preferisce un uomo più avvenente e brillante, passa a quello del vincitore che, con l’astuzia e la perizia del costruttore di trappole ha sconfitto e umiliato il dio della guerra[5], ridicolizzando anche il ruolo di seduttrice irresistibile di sua moglie. La metis di Efesto ha avuto la meglio, e lui che è considerato lento, brutto e deforme (cholos) ha catturato Ares per antonomasia attivo, attraente e atletico”[6].

In conclusione Ares, oltre a non avere alcuno dei requisiti trascendenti della divinità giudaica eccetto l’immortalità, non può nemmeno vantare il primato di abilità e di metis di un areté come Ulisse, ma neppure rivaleggiare con eroi quali Achille, Ettore, Patroclo, Ercole, e così via. Non corrisponde perciò a un modello idealizzato e divinizzato perché eccellente. Rimane, dunque, nel valore simbolico del suo mito, la natura divina per diritto di nascita, riflesso dell’appartenenza di Ares, come uomo reale, a una casta privilegiata in seno alla società, detentrice del potere e, per questo, da sempre e per sempre collocata sull’Olimpo dell’immaginario collettivo. [BM&L-Italia, aprile 2022].

 

Notule

BM&L-30 aprile 2022

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[1] Note e Notizie 02-04-22 Notule (v. in La risposta di Lorenzo L. Borgia all’ultima delle “Notule”).

[2] Secondo il Villarosa (v. il suo Dizionario mitologico storico poetico del 1841) pagos è borgo, dunque Borgo di Ares.

[3] Proprio nel VI secolo a.C., quando fu scritta l’Odissea, l’isola di Lemno passò sotto il dominio di Atene, pur distando oltre 300 km di mare dalla polis.  

[4] Cfr. Odissea, VIII, 296-99.

[5] In senso stretto, i Greci consideravano Ares il dio degli aspetti più feroci, distruttivi e cruenti della guerra e delle battaglie, riservando ad altre divinità il patrocinio degli aspetti più logico-strategici e ginnico-tecnici delle “arti marziali”.

[6] Note e Notizie 17-10-20 Metis alle origini del concetto di intelligenza (v. Quarta Parte).